L’Iva che molti comuni hanno fatto pagare per anni sulla tassa dei rifiuti non andava versata e quindi deve essere restituita al contribuente dal concessionario che si è occupato della riscossione.
La sentenza n.4723 del 10 marzo è l’ultima di una lunga serie arrivate all’ultimo grado di giudizio. La Cassazione ha ribadito che gli importi pretesi a titolo di TIA (Tariffa di igiene ambientale) non sono assoggettabili ad Iva, in quanto la TIA ha natura tributaria. I pagamenti risultano non dovuti e pertanto, essendo privi di giustificazione, sono da qualificarsi come indebito oggettivo, con conseguente diritto alla restituzione.
La sentenza del marzo 2015 non è la prima sull’argomento. La Corte Costituzionale si era infatti già pronunziata enunciando un importante principio di diritto con la Sentenza n. 238 nel 2009, nella quale aveva stabilito che la TIA è un «tributo e non una vera tariffa», pertanto su di essa non poteva essere caricata l’Iva, intesa come imposta sul valore aggiunto.
A detta della Corte si tratta quindi di «tassa» e non di «valore» o «servizio» tale da divenire valore imponibile agli effetti Iva.
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale è arrivata la sentenza della Corte di Cassazione n.3756 del 2012 che ha aperto concretamente la strada dei rimborsi avvalorata ulteriormente dalla pronunzia del 2015 con la quale la Cassazione ha stabilito una volta per tutte che l’imposta sul valore aggiunto non era legittima.
Con la sentenza del marzo scorso la Corte ha ribadito che è irrilevante, per definire la natura dell’entrata comunale, l’intervento normativo successivo alla pronuncia della Corte costituzionale (Cass. n. 238 del 2009) con il quale il legislatore ha qualificato la Tia2 come entrata non tributaria.
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