In caso di mancato preavviso delle dimissioni si rischia di incorrere in decurtazioni dello stipendio da parte del datore di lavoro. Come licenziarsi allora da un contratto a tempo determinato? Quanto preavviso occorre dare al datore?
Il contratto di lavoro è un patto sottoscritto da entrambe le parti e perciò può essere sciolto da entrambi i contraenti in qualsiasi momento. Tuttavia l’articolo 2118 del Codice Civile specifica altresì che “ciascuno dei contraenti di lavoro subordinato e a tempo indeterminato possa recedere dal contratto stesso dandone preavviso nel termine e modi”. Ed inoltre l’articolo 2119 del codice civile stabilisce che: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.”
Se si è nel cosiddetto “periodo di prova” entrambe le parti, possono, senza preavviso alcuno recedere dal contratto. Decorso tale periodo sarà necessario dare congruo preavviso.
Nel caso di dimissioni presentate dal lavoratore, le stesse possono essere rassegnate solo in presenza di una giusta causa che non consenta la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.
Se è invece il datore di lavoro a procedere al licenziamento – nel contratto a tempo determinato – , conclusosi il periodo di prova, al lavoratore spetteranno le retribuzioni previste fino alla scadenza del contratto, oltre al riconoscimento del risarcimento degli eventuali danni subiti per la condotta del datore.
Non è invece dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso.
In caso di dimissioni senza giusta causa, sarà il datore di lavoro ad avere diritto al risarcimento del danno, configurandosi, in questo caso, inadempimento contrattuale.
Non è quindi ammesso il licenziamento con preavviso, sia per giustificato motivo, che “ad nutum” da parte del datore di lavoro, nè le dimissioni da parte del lavoratore a prescindere dalla sussistenza della giusta causa.
In caso di recesso illegittimo esercitato dal datore di lavoro, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni dovute fino alla scadenza del contratto originariamente prevista.
Specie nei casi di schemi contrattuali predisposi unilateralmente dal datore di lavoro, che li utilizza per l’assunzione di tutti i dipendenti, possono riscontrarsi ipotesi di clausole vessatorie in relazione al recesso dei dipendenti, comportando una alterazione del sinallagma contrattuale a scapito del lavoratore. In tale ultimo caso si ravvisa violazione dell’art. 1343 cod. civ. in relazione all’art. 1318 (rectius 1418) cod. civ. nonché dell’art. 35 Cost., e si prospetta pertanto la nullità ed inefficacia della clausola, che incide direttamente non solo sulla libertà di contrattare, ma sulla libertà di lavorare, ponendosi così in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico.