Febbraio 2016

Tutela contro i rumori molesti

Il disturbo della quiete cagionato da rumori che superano la normale soglia di tollerabilità può essere tutelato sia in sede civile che in sede penale, con dovute differenze. Posto che le immissioni siano in grado di ledere gli interessi della persona umana costituzionalmente garantiti come il riposo notturno, la serenità e l’equilibrio della mente, con ciò confermando un orientamento consolidatosi nel corso degli anni (Cass. nn. 26972/2008 e 26975/2008) e che la natura stessa del diritto di proprietà esclude ogni condotta che abbia quale risultato quello di limitare il godimento di un bene, risulta pacifico che sorge in capo al soggetto leso il diritto di ottenere la cessazione delle turbative ed il risarcimento del danno.

Doverosa premessa è individuare quali rumori possano essere considerati eccedenti la normale soglia di tollerabilità.

Si tratta di rumori che impediscono lo svolgimento delle normali attività diurne o del riposo notturno ed altresì di quei rumori che eccedono la soglia di decibel fissata.

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Febbraio 2016

Rapporto di lavoro a tempo determinato e risoluzione “ante tempus”

In caso di mancato preavviso delle dimissioni si rischia di incorrere in decurtazioni dello stipendio da parte del datore di lavoro. Come licenziarsi allora da un contratto a tempo determinato? Quanto preavviso occorre dare al datore?

Il contratto di lavoro è un patto sottoscritto da entrambe le parti e perciò può essere sciolto da entrambi i contraenti in qualsiasi momento. Tuttavia l’articolo 2118 del Codice Civile specifica altresì che “ciascuno dei contraenti di lavoro subordinato e a tempo indeterminato possa recedere dal contratto stesso dandone preavviso nel termine e modi”. Ed inoltre l’articolo 2119 del codice civile stabilisce che: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.”

Se si è nel cosiddetto “periodo di prova” entrambe le parti, possono, senza preavviso alcuno recedere dal contratto. Decorso tale periodo sarà necessario dare congruo preavviso.

Nel caso di dimissioni presentate dal lavoratore, le stesse possono essere rassegnate solo in presenza di una giusta causa che non consenta la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.

Se è invece il datore di lavoro a procedere al licenziamento – nel contratto a tempo determinato – , conclusosi il periodo di prova, al lavoratore spetteranno le retribuzioni previste fino alla scadenza del contratto, oltre al riconoscimento del risarcimento degli eventuali danni subiti per la condotta del datore.

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Febbraio 2016

Istanza in autotutela

Con l’istanza in autotutela il cittadino – contribuente può chiedere ad una pubblica amministrazione (ivi compresa l’amministrazione finanziaria) il riesame di un atto che ritiene sia da correggere o annullare.

Secondo la vigente normativa in materia di pubbliche amministrazioni, infatti, attraverso una istanza, ogni cittadino può ottenere velocemente l’annullamento o la rettifica di un atto.

La possibilità di ricorrere all’istanza in autotutela coinvolge una disparata gamma di atti, emessi dalle pubbliche amministrazioni  come ad esempio gli  avvisi, i verbali, le cartella esattoriali, ecc. L’istituto in argomento consente al cittadino di rivolgere la propria richiesta al fine di ottenere soddisfazione della propria pretesa, direttamente dalla P.A. senza dover ricorrere al giudice.

L’autotutela dunque, costituisce un’eccezione al principio enunciato dall’articolo 2907 del codice civile secondo cui la tutela dei diritti è affidata all’attività giurisdizionale.

L’autotutela, in luogo del ricorso giurisdizionale, è, quindi, opportuna nel caso di vizi palesi dell’atto. Altrimenti, è consigliabile presentare un ricorso innanzi all’autorità giudiziaria competente per evitare il decorso dei termini ed il conseguente cristallizzarsi della situazione.

La competenza ad effettuare la correzione è generalmente dello stesso Ufficio che ha emanato l’atto. L’autotutela amministrativa infatti può essere definita come quel complesso di attività con cui ogni pubblica amministrazione risolve i conflitti potenziali ed attuali, relativi ai suoi provvedimenti o alle sue pretese (un atto illegittimo può essere annullato “d’ufficio”, in via del tutto autonoma, oppure su richiesta del cittadino). Il suo fondamento si rinviene pertanto nella potestà generale che l’ordinamento riconosce ad ogni pubblica amministrazione di intervenire unilateralmente su ogni questione di propria competenza (ed è per questo che la si considera espressione del più generale concetto di autarchia).

L’annullamento dell’atto illegittimo comporta automaticamente l’annullamento degli atti ad esso consequenziali (ad esempio, il ritiro di un avviso di accertamento infondato comporta l’annullamento della conseguente iscrizione a ruolo e delle relative cartelle di pagamento) e l’obbligo di restituzione delle somme riscosse sulla base degli atti annullati.

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Gennaio 2016

Scivolare al supermercato dà diritto ad un risarcimento? In quali casi?

Sono numerosi i casi di richieste di risarcimento di chi si fa male scivolando al supermercato, in palestra, o di chi si infortuna giocando a calcetto. L’aver subito un danno in un luogo, sia esso pubblico o privato può far sorgere il diritto al risarcimento del danno, che graverà sul “custode” del luogo.

Ai sensi dell’art. 2051 del codice civile, la responsabilità del custode non esige, per essere affermata, alcuna attività o condotta colposa, ma si può considerare presunta.

Va puntualizzato peraltro che la nozione codicistica di “custode” non sempre coincide con quella utilizzata nel linguaggio comune.

Il diritto al risarcimento, infatti, nei confronti del custode, trova il proprio fondamento giuridico nella responsabilità oggettiva derivante dal nesso eziologico-causale (tra il bene che causa il danno ed il danno stesso).

Il risarcimento discenderà dal fatto che la cosa che ha provocato il danno sia oggetto di custodia e che conseguentemente vi sia una relazione tra la cosa stessa e colui il quale sia proprietario, possessore o detentore.

Dunque dovere di custodia che incombe sul soggetto che, a qualsiasi titolo, ha un effettivo (e non occasionale) potere fisico sulla cosa, in relazione all’obbligo di vigilare in modo da impedire che arrechi danno a terzi e prevede una responsabilità che prescinde dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa.

Ne deriva che in maniera incontrovertibile la responsabilità degli infortuni occorsi agli utenti, per il sol fatto che essi si siano verificati, che sarà aggravata laddove non vi sia stato un rigoroso rispetto delle normative esistenti né un comportamento volto a scongiurare la situazione di pericolo nonché il potenziale nocumento.

Di certo una preventiva attività di controllo e sorveglianza sarebbe stata idonea ad evitare il danno ed a scongiurare il fatto che un luogo, o un bene, di per sé non pericoloso, lo diventi al punto da provocare la caduta. Ciò non toglie che vi debba essere un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa.

Dunque diventerà rilevante il comportamento tenuto dal danneggiato laddove il danno poteva essere scongiurato con l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto, da parte dello stesso. In casi come questo il danno non sarà stato cagionato dalla cosa, ma dalla colpa del soggetto agente.

Gennaio 2016

Fondo a tutela del coniuge in stato di bisogno

AGGIORNAMENTO 2017:

Da fine agosto 2017, il coniuge titolare dell’assegno di mantenimento, in caso di inadempimento dell’obbligato, può chiedere allo Stato l’anticipazione di quanto dovuto.

Fondo coniuge in stato di bisogno: nuovi schemi per l’accesso
Il Ministero della giustizia ha pubblicato i nuovi schemi XSD per l’accesso al fondo di solidarietà per il coniuge in stato di bisogno

In questi tempi di crisi sono molti i casi in cui il coniuge che ne avrebbe diritto e che ha delle serie difficoltà, non percepisca il mantenimento dal proprio ex, venendo così privato di qualunque mezzo di sussistenza.

La legge di stabilità 2016, ha rivolto una particolare attenzione a questi casi critici, prevedendo che i coniugi che versano in stato di bisogno potranno accedere ad un fondo statale creato ad hoc.

La creazione di questo fondo e la sua copertura economica deriva dalla riduzione del fondo per gli interventi strutturali di politica economica.

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Gennaio 2016

Nullità delle clausole vessatorie imposte dalla compagnia assicurativa (Cass. n. 17024/2015)

CASSAZIONE, SEZIONE TERZA CIVILE, SENTENZA 20.08.2015, N.17024

LA CLAUSOLA CHE SUBORDINA IL PAGAMENTO DELLA POLIZZA ASSICURATIVA ALLA PRESENTAZIONE DI UN DOCUMENTO È VESSATORIA PERCHÉ INVERTE L’ONERE DELLA PROVA ED ALTRESÌ PERCHÉ  NON È STATA RESA CONOSCIBILE AL CONTRAENTE.

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

SENTENZA 20.08.2015, N.17024

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente – Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere – Dott. RUBINO Lina – Consigliere – Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere – Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere – ha pronunciato la seguente:  sentenza sul ricorso 23858-2012 proposto da: INA ASSITALIA SPA (OMISSIS), in persona del procuratore speciale del legale rappresentante pro tempore, Avv. M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato ROMA MICHELE, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;  – ricorrente –  contro  D.V.;  – intimato – avverso la sentenza n. 8/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/06/2012, R.G.N. 1544/2008; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/05/2015 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI; udito l’Avvocato ANTONIO DONATONE per delega; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO

  1. Il 25.3.2002 F.V. stipulò con l’Ina Assitalia s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in Generali Italia s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità, “la Generali”) una polizza sulla propria vita per il caso di morte, con previsione di pagamento dell’indennizzo a beneficio di D.V.. Quindici giorni dopo la stipula, l’11.4.2002, il portatore di rischio morì a causa di un ictus.
  1. L’assicuratore, richiesto del pagamento dell’indennizzo, lo rifiutò adducendo due ragioni:

(a) il contraente al momento della stipula aveva mentito sul proprio stato di salute, e quindi l’indennizzo non era dovuto ex art. 1892 c.c.;

(b) il beneficiario non aveva accompagnato la richiesta di indennizzo con i documenti richiesti dal contratto: e cioè una relazione medica sulle cause della morte e la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà dimostrante la qualità di erede.

  1. A fronte del diniego dell’assicuratore, D.V. nel 2003 convenne la Generali dinanzi al Tribunale di Forlì, chiedendone la condanna al pagamento dell’indennizzo. La Generali si costituì, negò la propria obbligazione ed in via riconvenzionale chiese dichiararsi l’annullamento del contratto ex art. 1892 c.c..
  1. Il Tribunale di Forlì con sentenza 22.5.2008 n. 483 rigettò tutte e due le contrapposte domande.

La sentenza venne appellata in via principale da D.V., ed in via incidentale dalla Generali.

La Corte d’appello di Bologna con sentenza 12.6.2012 n. 828 accolse l’appello principale e condannò l’assicuratore al pagamento dell’indennizzo.

Ritenne la Corte d’appello:

– che la clausola 16 delle condizioni generali di polizza, ovvero quella che subordinava il pagamento dell’indennizzo alla presentazione dei documenti ivi indicati, fosse vessatoria ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, perchè subordinava l’adempimento dell’assicuratore all’esecuzione di oneri particolarmente gravosi da parte del beneficiario; perchè invertiva l’onere della prova e perchè non era stata resa conoscibile al contraente; – che la domanda di annullamento del contratto proposta dalla Generali era inammissibile (rectius, infondata), perchè si sarebbe dovuta proporre contro gli eredi del contraente.

  1. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Generali sulla base di tre motivi. D.V. non si è difeso.

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Gennaio 2016

Il monitoraggio del dipendente nei luoghi di lavoro: dal controllo dei computer aziendali alla videosorveglianza

Una importante pronunzia in riferimento alla videosorveglianza che inquadra i lavoratori. Quali  possibilità hanno i datori di lavoro di controllare e monitorare i dipendenti?

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunziata sancendo (nel singolo caso di un lavoratore licenziato) che gli interessi del datore di lavoro, prevalgono sul diritto alla privacy del lavoratore che presso il primo presta la propria opera.
Il giro di vite sui lavoratori fannulloni è diventato realtà nonostante sia una forma di restrizione veramente pregante: la recente sentenza ha dato a ciò una legittimazione sovranazionale.
Il peso di una sentenza del genere risulta in tutto il proprio spessore, dato che ad aver legittimato le intrusioni del datore nei computer (a danno di diritti dei lavoratori ed allo scopo di controllarli) è stata la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che tali diritti invece, avrebbe dovuto tutelare.
Alla base del licenziamento sono state poste le informazioni tratte dalle conversazioni private effettuate dal lavoratore dall’account aziendale, nell’orario di lavoro e giustificate dal fatto che il datore potesse accedere al computer ed agli altri strumenti che egli stesso aveva fornito al proprio dipendente (computer e connessione erano infatti forniti dall’azienda): certo (a suo dire) che vi avrebbe trovato solo contenuti inerenti l’attività lavorativa.
Nel caso di specie, il licenziamento del lavoratore nel 2007, era stato motivato dal fatto che lo stesso utilizzava un servizio di messaggistica per chattare con la fidanzata e con il fratello, durante l’orario lavorativo.
Risultano però di tutta evidenza la lesione della privacy e la violazione della riservatezza della corrispondenza nonché l’assenza di un bilanciamento tra le esigenze di produzione del datore ed i diritti costituzionalmente garantiti.
Sembra un passo indietro rispetto alle conquiste sindacali dell’ultimo secolo, eppure tutto ciò è realtà.
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