Si riapre la questione relativa al patteggiamento come prova della colpa che nella recentissima pronuncia della Corte di Cassazione viene definito come probatorio.
Secondo gli Ermellini Infatti il giudice che intenda disconoscere le conclusioni dovrebbe spiegare per quale motivo l’imputato avrebbe ammesso una propria insussistente responsabilità.
Così è stato statuito dalla Cassazione che con l’ordinanza 3643 del 2019 – sezione lavoro – ha accolto il ricorso di un dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro. Il dipendente aveva subito un gravissimo infortunio sul lavoro cadendo dal braccio di una gru mentre eseguiva delle riparazioni.
Il giudice di prima cure aveva respinto la richiesta del lavoratore di risarcimento sostenendo che questo non poteva basarsi su una sentenza di patteggiamento.
La Cassazione invece sostiene di dover censurare la decisione di merito nella parte in cui non aveva riconosciuto che nella sentenza di patteggiamento può esservi la prova della ammissione di responsabilità da parte del datore di lavoro.
L’orientamento è in linea con quanto statuito dalle Sezioni Unite Civili con la sentenza 9456 del 2013 che avevano stabilito che il patteggiamento – anche detto sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti – è ammessa ai sensi dell’articolo 444 cpp e presuppone nel processo civile un’ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall’onere della prova, che in sostanza implica il riconoscimento del fatto reato e costituisce un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito.
La sentenza di patteggiamento, come affermato dalla Cassazione, del resto presuppone non solo il consenso delle parti ( imputato e p.m.) ma anche che non debba essere pronunziata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 (oltre al fatto che debba esservi una corretta la qualificazione giuridica del fatto).
La sentenza penale di applicazione della pena ex articolo 444 del codice di procedura penale costituisce Infatti un importante elemento probatorio per il giudice di merito il quale ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e del giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (Cassazione Sezione unite civili 17289/2006 ). Il patteggiamento dell’imputato implica infatti pur sempre il riconoscimento del fatto-reato
Ciò detto, la Corte arriva poi a precisare che in tema di prova per presunzioni il giudice è tenuto a seguire un procedimento che si articola in due momenti valutativi: quello iniziale, caratterizzato da una valutazione analitica degli elementi indiziari al fine di dare esclusiva rilevanza a quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; e quello successivo dove si impone una valutazione complessiva di tutti gli elementi come sopra individuati al fine di accertare se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuno di essi.
Alla luce di quanto sopra, quindi, la sentenza va parimenti censurata nella parte in cui il giudice di merito si è limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, seppur singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento.
La sentenza è particolarmente rilevante poiché innova il diritto
Si rilevano dalla pronunzia tre assunti 1) la relevatio ab onere probandi, 2) l’onere di motivazione sulle ragioni per cui l’imputato avrebbe dovuto ammettere un’inesistente responsabilità e 3) l’onere di “ragionata sconfessione” del magistrato penale
Si affievolirebbe dunque il principio secondo cui nell’ordinamento processuale italiano a far data dall’emanazione codice di procedura penale del 1988, secondo il presupposto della separazione delle giurisdizioni, il giudice, al di fuori delle ipotesi in cui opera il vincolo del giudicato penale, nel procedere ad un autonomo apprezzamento dei fatti rispetto a quello già operato in altra sede giurisdizionale non può ritenersi soggetto ad alcun particolare onere di motivazione sulle ragioni che lo hanno indotto ad operare una diversa valutazione degli elementi probatori già emersi nell’istruttoria esperita in sede penale (Cass., 17 febbraio 2010, n. 3820; Cass., 23 maggio 1996, n. 4748).
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