Secondo l’orientamento attualmente prevalente della giurisprudenza di legittimità il danno-conseguenza, quale elemento costitutivo dell’illecito aquiliano e della responsabilità per inadempimento, necessita sempre di specifica allegazione e di prova, non potendo il pregiudizio risarcibile essere identificato con l’evento dannoso. La nozione di danno “in re ipsa” configura, invero, un danno punitivo, ponendosi, così, in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U., n. 26972/2008, Preden, Rv. 605494-01), secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il dannoconseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico (Sez. U., n. 16601/2017,) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost..
Occorre, tuttavia, rilevare che in materia di danno patrimoniale nel corso del 2018 si sono registrate alcune pronunce che hanno dato continuità all’indirizzo interpretativo minoritario che, discostandosi dai principi affermati dalle più volte richiamate pronunce nomofilattiche del 2008, con specifico riferimento al danno patrimoniale conseguente alla lesione dei diritti reali, ha continuato a sostenerne la natura “in re ipsa” (si vedano le citate Sez. 2, n. 20545/2018, Federico, Rv. 649998-01, Sez. 2, n. 21239/2018, Falaschi, Rv. 650352-01, Sez. 2, n. 17460/2018, Scarpa, Rv. 649269-01, Sez. 2, n. 21501/2018, Grasso Giuseppe, Rv. 650315-02).
In materia di danno non patrimoniale anche nell’annualità in rassegna, si è, invece, registrata un’uniforme tendenza dei giudici di legittimità ad attestarsi sul convincimento per il quale il danno-conseguenza non può ritenersi coincidente con il danno evento e, pertanto, esige specifica allegazione e dimostrazione.
La cospicua produzione sul tema – proveniente in via preponderante dalla Terza Sezione, ma in parte anche dalla Prima, dalla Seconda e dalla Quarta Sezione – ha arricchito significativamente la casistica in materia, offrendo importanti puntualizzazioni con specifico riguardo all’impiego della prova presuntiva e delle massime di esperienza.
Di particolare interesse sono le indicazioni ritraibili da Sez. 3, n. 00907/2018, Ambrosi, Rv. 647127-03, la quale, valorizzando l’insegnamento della citata sentenza delle Sezioni Unite n. 26972/2008, ha affermato che il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto, quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse, ovvero non è “in re ipsa” e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo
risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base di elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire, mentre la sua liquidazione avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo
familiare della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti ed ogni altra
circostanza allegata.
(Tratto da rassegna giurisprudenziale Massimario Cassazione 2018 pagg. 465-467)
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