Gennaio 2016

Scivolare al supermercato dà diritto ad un risarcimento? In quali casi?

Sono numerosi i casi di richieste di risarcimento di chi si fa male scivolando al supermercato, in palestra, o di chi si infortuna giocando a calcetto. L’aver subito un danno in un luogo, sia esso pubblico o privato può far sorgere il diritto al risarcimento del danno, che graverà sul “custode” del luogo.

Ai sensi dell’art. 2051 del codice civile, la responsabilità del custode non esige, per essere affermata, alcuna attività o condotta colposa, ma si può considerare presunta.

Va puntualizzato peraltro che la nozione codicistica di “custode” non sempre coincide con quella utilizzata nel linguaggio comune.

Il diritto al risarcimento, infatti, nei confronti del custode, trova il proprio fondamento giuridico nella responsabilità oggettiva derivante dal nesso eziologico-causale (tra il bene che causa il danno ed il danno stesso).

Il risarcimento discenderà dal fatto che la cosa che ha provocato il danno sia oggetto di custodia e che conseguentemente vi sia una relazione tra la cosa stessa e colui il quale sia proprietario, possessore o detentore.

Dunque dovere di custodia che incombe sul soggetto che, a qualsiasi titolo, ha un effettivo (e non occasionale) potere fisico sulla cosa, in relazione all’obbligo di vigilare in modo da impedire che arrechi danno a terzi e prevede una responsabilità che prescinde dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa.

Ne deriva che in maniera incontrovertibile la responsabilità degli infortuni occorsi agli utenti, per il sol fatto che essi si siano verificati, che sarà aggravata laddove non vi sia stato un rigoroso rispetto delle normative esistenti né un comportamento volto a scongiurare la situazione di pericolo nonché il potenziale nocumento.

Di certo una preventiva attività di controllo e sorveglianza sarebbe stata idonea ad evitare il danno ed a scongiurare il fatto che un luogo, o un bene, di per sé non pericoloso, lo diventi al punto da provocare la caduta. Ciò non toglie che vi debba essere un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa.

Dunque diventerà rilevante il comportamento tenuto dal danneggiato laddove il danno poteva essere scongiurato con l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto, da parte dello stesso. In casi come questo il danno non sarà stato cagionato dalla cosa, ma dalla colpa del soggetto agente.

Gennaio 2016

Nullità delle clausole vessatorie imposte dalla compagnia assicurativa (Cass. n. 17024/2015)

CASSAZIONE, SEZIONE TERZA CIVILE, SENTENZA 20.08.2015, N.17024

LA CLAUSOLA CHE SUBORDINA IL PAGAMENTO DELLA POLIZZA ASSICURATIVA ALLA PRESENTAZIONE DI UN DOCUMENTO È VESSATORIA PERCHÉ INVERTE L’ONERE DELLA PROVA ED ALTRESÌ PERCHÉ  NON È STATA RESA CONOSCIBILE AL CONTRAENTE.

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

SENTENZA 20.08.2015, N.17024

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente – Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere – Dott. RUBINO Lina – Consigliere – Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere – Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere – ha pronunciato la seguente:  sentenza sul ricorso 23858-2012 proposto da: INA ASSITALIA SPA (OMISSIS), in persona del procuratore speciale del legale rappresentante pro tempore, Avv. M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato ROMA MICHELE, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;  – ricorrente –  contro  D.V.;  – intimato – avverso la sentenza n. 8/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/06/2012, R.G.N. 1544/2008; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/05/2015 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI; udito l’Avvocato ANTONIO DONATONE per delega; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO

  1. Il 25.3.2002 F.V. stipulò con l’Ina Assitalia s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in Generali Italia s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità, “la Generali”) una polizza sulla propria vita per il caso di morte, con previsione di pagamento dell’indennizzo a beneficio di D.V.. Quindici giorni dopo la stipula, l’11.4.2002, il portatore di rischio morì a causa di un ictus.
  1. L’assicuratore, richiesto del pagamento dell’indennizzo, lo rifiutò adducendo due ragioni:

(a) il contraente al momento della stipula aveva mentito sul proprio stato di salute, e quindi l’indennizzo non era dovuto ex art. 1892 c.c.;

(b) il beneficiario non aveva accompagnato la richiesta di indennizzo con i documenti richiesti dal contratto: e cioè una relazione medica sulle cause della morte e la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà dimostrante la qualità di erede.

  1. A fronte del diniego dell’assicuratore, D.V. nel 2003 convenne la Generali dinanzi al Tribunale di Forlì, chiedendone la condanna al pagamento dell’indennizzo. La Generali si costituì, negò la propria obbligazione ed in via riconvenzionale chiese dichiararsi l’annullamento del contratto ex art. 1892 c.c..
  1. Il Tribunale di Forlì con sentenza 22.5.2008 n. 483 rigettò tutte e due le contrapposte domande.

La sentenza venne appellata in via principale da D.V., ed in via incidentale dalla Generali.

La Corte d’appello di Bologna con sentenza 12.6.2012 n. 828 accolse l’appello principale e condannò l’assicuratore al pagamento dell’indennizzo.

Ritenne la Corte d’appello:

– che la clausola 16 delle condizioni generali di polizza, ovvero quella che subordinava il pagamento dell’indennizzo alla presentazione dei documenti ivi indicati, fosse vessatoria ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, perchè subordinava l’adempimento dell’assicuratore all’esecuzione di oneri particolarmente gravosi da parte del beneficiario; perchè invertiva l’onere della prova e perchè non era stata resa conoscibile al contraente; – che la domanda di annullamento del contratto proposta dalla Generali era inammissibile (rectius, infondata), perchè si sarebbe dovuta proporre contro gli eredi del contraente.

  1. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Generali sulla base di tre motivi. D.V. non si è difeso.

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Gennaio 2016

Il monitoraggio del dipendente nei luoghi di lavoro: dal controllo dei computer aziendali alla videosorveglianza

Una importante pronunzia in riferimento alla videosorveglianza che inquadra i lavoratori. Quali  possibilità hanno i datori di lavoro di controllare e monitorare i dipendenti?

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunziata sancendo (nel singolo caso di un lavoratore licenziato) che gli interessi del datore di lavoro, prevalgono sul diritto alla privacy del lavoratore che presso il primo presta la propria opera.
Il giro di vite sui lavoratori fannulloni è diventato realtà nonostante sia una forma di restrizione veramente pregante: la recente sentenza ha dato a ciò una legittimazione sovranazionale.
Il peso di una sentenza del genere risulta in tutto il proprio spessore, dato che ad aver legittimato le intrusioni del datore nei computer (a danno di diritti dei lavoratori ed allo scopo di controllarli) è stata la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che tali diritti invece, avrebbe dovuto tutelare.
Alla base del licenziamento sono state poste le informazioni tratte dalle conversazioni private effettuate dal lavoratore dall’account aziendale, nell’orario di lavoro e giustificate dal fatto che il datore potesse accedere al computer ed agli altri strumenti che egli stesso aveva fornito al proprio dipendente (computer e connessione erano infatti forniti dall’azienda): certo (a suo dire) che vi avrebbe trovato solo contenuti inerenti l’attività lavorativa.
Nel caso di specie, il licenziamento del lavoratore nel 2007, era stato motivato dal fatto che lo stesso utilizzava un servizio di messaggistica per chattare con la fidanzata e con il fratello, durante l’orario lavorativo.
Risultano però di tutta evidenza la lesione della privacy e la violazione della riservatezza della corrispondenza nonché l’assenza di un bilanciamento tra le esigenze di produzione del datore ed i diritti costituzionalmente garantiti.
Sembra un passo indietro rispetto alle conquiste sindacali dell’ultimo secolo, eppure tutto ciò è realtà.
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Gennaio 2016

La disciplina condominiale: norme di diritto

Il condominio degli edifici è regolato dagli artt. 1117 e seguenti del codice civile. Esso è indubbiamente una forma di comunione con delle peculiarità date dal fatto che ciascun condomino è proprietario esclusivo del proprio immobile, mentre alcune parti dell’edificio, sono oggetto di una comunione forzosa imposta dalla legge (o dal regolamento). Da considerarsi necessariamente parti comuni  le scale, i pilastri, i cotili, le facciate, i parcheggi, gli ascensori, i muri maestri, il tetto, ecc..Se un condominio è composto da più di otto condomini è necessaria la nomina di un amministratore di condominio che è  l’organo esecutivo dello stesso, cui è demandata l’organizzazione ordinaria. L’amministratore ha poteri di rappresentanza in base ad un rapporto di mandato rispetto ad ogni singolo condomino.
Alla nomina prevede l’assemblea ai sensi del n.4 dell’art. 1136 c.c.. La legge prevede in ogni caso (vale a dire indipendentemente dal fatto se l’assemblea sia in prima o seconda convocazione) la maggioranza qualificata di cui al II comma dell’art.1136 c.c.. Occorrerà pertanto che la deliberazione sia approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. Gli atti che l’amministratore compie entro i limiti della propria competenza devono infatti non già ritenersi imputati ad un ente in forza di un nesso organico, bensì di semplice rappresentanza, riferibile ai singoli condomini (Cass. Civ. Sez. II, 4558/93). L’amministratore ha la rappresentanza di tutti i condomini e può stare in giudizio sia per essi sia contro alcuni di essi. Ai sensi dell’art. 1133 c.c. i provvedimenti che l’amministratore adotta nell’ambito dei propri poteri vincolano i condomini.
Il regolamento di condominio può essere un regolamento assembleare o un regolamento contrattuale. Il regolamento contrattuale è predisposto dal costruttore prima della vendita dei singoli appartamenti, oppure viene approvato da tutti i proprietari all’unanimità. Essendo predisposto dall’originario (ed unico) proprietario dell’edificio è vincolante per gli acquirenti delle singole unità immobiliari (purché richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto) nella sola ipotesi che il relativo acquisto si collochi in epoca successiva alla predisposizione del regolamento stesso. Il regolamento assembleare invece viene votato ed approvato con un numero di voti pari almeno alla metà dei condomini intervenuti in assemblea e titolari di almeno la metà del valore dell’edificio e quindi dei millesimi.
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Gennaio 2016

Come opporsi ad un pignoramento

L’opposizione al pignoramento è sicuramente – laddove ve ne siano i presupposti – un’azione esperibile a tutela del debitore esecutato.
Le tempistiche sono sempre molto stringenti quindi è bene muoversi con anticipo affinché non decorrano i termini per proporre opposizione. I termini fissati in favore del debitore sono perentori.
Vista la delicatezza della materia e gli interessi in gioco è sempre bene farsi assistere da uno specialista competente.
Nello specifico il debitore ha dieci giorni di tempo per opporsi all’atto che precede il pignoramento (atto di precetto). Come si può ben capire 10 giorni sono un tempo veramente esiguo per produrre la documentazione per cui è sempre consigliabile agire senza ritardo e fin dalla notifica.
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Gennaio 2016

Come opporsi ad un decreto ingiuntivo

Il debitore che voglia opporsi ad un decreto ingiuntivo può procedere ad una formale opposizione da proporsi entro il termine perentorio indicato nello stesso decreto ingiuntivo (normalmente 40 giorni).

Le ragioni per opporsi ad un decreto ingiuntivo possono essere diverse e con l’aiuto di un professionista è possibile farle valere in giudizio. Esse possono essere: l’inesistenza del credito, l’inesigibilità dello stesso, il decorso del tempo che ha prescritto il credito oppure vizi di tipo formale dell’atto stesso ecc..
In ogni caso, il giudizio che si apre a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo ha luogo sulla base delle norme del procedimento ordinario. continua a leggere

Gennaio 2016

Come recuperare un credito: meglio fare causa?

Con il termine generico di recupero del credito si fa riferimento a tutte le attività che il creditore svolge contro il debitore per ottenere il pagamento di quanto gli spetta.

Meglio il recupero stragiudiziale oppure il recupero giudiziale?
In alcune situazioni si rende praticamente necessario ricorrere all’azione legale. Per comprendere meglio di cosa sto parlando puoi leggere come funziona il recupero crediti giudiziale (ulteriori info nella sezione consulenza on-line).

Si tratta di attività che hanno dapprima la finalità di ottenere il risultato senza interessare l’autorità giudiziaria (come i solleciti di pagamento, le diffide, i tentativi di conciliazione imposti in determinati casi dalla legge). Ed in questo caso di parla di attività stragiudiziale.
Se poi questi tentativi non raggiungono l’effetto sperato (e quindi il pagamento da parte del debitore) al creditore non resta che ricorrere all’autorità giudiziaria per ottenere quanto gli spetta attraverso l’esecuzione sul patrimonio del debitore.
Tutti questi passaggi saranno dettagliatamente esaminati nei paragrafi che seguono.
In via generale è comunque opportuno

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