Dicembre 2016

Responsabilità ex art. 96, 3° comma, c.p.c. e per manifesta insostenibilità delle difese

Cass., 29 settembre 2016, n. 19298 – Presidente Chiarini – Relatore Rossetti
Spese giudiziali civili – Manifesta insostenibilità della tesi – responsabilità aggravata
La manifesta insostenibilità della tesi prospettata in giudizio è sanzionabile ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c. perché implica abuso del processo e perché è in contrasto coi principi della ragionevole durata del processo e dell’economia processuale. Cost., art. 111; cod. proc. civ., art. 96

Si riporta di seguito un breve estratto dell’interessante sentenza di Cassazione che sanziona l’abuso di mezzi processuali posto in essere da quegli operatori di giustizia che strumentalizzano il contenzioso giudiziario svuotandolo della sua primaria funzione.

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Maggio 2016

Rimborsi per Avvocati ed altri professionisti

Contribuenti e professionisti oggi hanno finalmente maggiori certezze per quanto concerne l’assoggettamento ad IRAP.  La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 9451 del 10 maggio 2016 ha espresso un importante principio che riguarda tutti coloro che svolgono in forma individuale attività d’impresa, professionale e artistica.  Il principio è quello secondo cui il professionista (o artigiano o imprenditore) che assuma un collaboratore che esplichi mansioni meramente esecutive o di segreteria non è obbligato a pagare l’IRAP.  Questa sentenza dà dunque voce all’orientamento, finora minoritario, secondo il quale bisognava verificare se l’attività del dipendente fosse idonea ad incrementare l’attività produttiva. Pertanto  resta superato quello che fino ad ora era stato l’orientamento maggioritario secondo il quale, la presenza  anche di un solo collaboratore ed anche soltanto part time, purché continuativa e non occasionale,  comportava automaticamente l’assoggettamento ad IRAP dell’attività del datore di lavoro. Fra l’altro l’Agenzia delle Entrate, con la direttiva n. 42/2014, aveva condiviso l’orientamento giurisprudenziale maggioritario più restrittivo.

Dunque, alla luce della recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite tutti i professionisti che, oltre a non impiegare beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile, si avvalgano, anche in modo non occasionale, di un unico collaboratore che esplichi mansioni di segreteria o, comunque, mansioni esecutive, non dovranno assolutamente  versare  IRAP. Infatti tali professionisti devono considerarsi “non organizzati”.  Naturalmente, al fine di verificare l’esistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione, l’Agenzia delle Entrate potrà verificare  se di fatto l’attività svolta dal dipendente sia atta a potenziare l’attività produttiva, o sia invece un’attività prettamente esecutiva.

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Maggio 2016

Danno non patrimoniale: scostamento da tabelle milanesi va motivato

In materia di danno non patrimoniale e di tabelle milanesi la sentenza n. 2167/2016 torna a parlare di quantificazione del danno.

Come noto, ormai da anni per la quantificazione del danno non patrimoniale l’attore ed il giudice si basano quelle che sono le determinazioni dettate nelle tabelle milanesi.

Ai sensi della sentenza n. 12408/2011 le tabelle milanesi rappresentano infatti l’unica via per pervenire ad una compensazione economica che sia adeguata e ristoratrice del pregiudizio subito. In particolare la pronuncia della Suprema Corte stabilisce che il ristoro deve tener conto non solo della quantificazione strictu sensu del danno ma anche tenere conto delle circostanze del caso concreto affinché appunto il ristoro sia congruo e si basi sui principi di adeguatezza e proporzionalità (Cassazione n. 9231/2013)

Un ruolo determinante nella valutazione è altresì rivestito dal giudice dalla propria valutazione equitativa e dal suo libero apprezzamento.

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Maggio 2016

Mobbing pianificato: in quali casi è riscontrabile

Per mobbing si intende l’insieme delle condotte persecutorie poste in essere nell’ambiente di lavoro e messe in atto con continuità.

Recenti pronunzie della Corte di Cassazione hanno identificato una forma articolata di tali condotte persecutorie, che prende il nome di “mobbing pianificato”.

Esso si ha nel momento in cui l’attività persecutoria non è fine a sé stessa ma è pianificata e funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psicofisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) con andamento cronico.

Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo o problemi di vario tipo al datore di lavoro) o per stroncare ritorsioni a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali.

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Maggio 2016

Il comportamento ostile del datore di lavoro: è mobbing

Come statuito dalla Cassazione per “mobbing” s’intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Purtroppo spesso nei luoghi di lavoro si riscontra una forte tendenza a sminuire i fatti ed a minimizzare la gravità di comportamenti che consentono di ridurre atteggiamenti di inaccettabile prepotenza alla stregua di folcloristici episodi di normale conflittualità relazionale, quando non addirittura di malintesa confidenzialità.

Caratterizzano questo comportamento la sua protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi: Corte cost. 19 dicembre 2003 n. 359; Cass. Sez. Un. 4 maggio 2004 n. 8438; Cass. 29 settembre 2005 n. 19053; dalla protrazione, il suo carattere di illecito permanente: Cass. Sez. Un. 12 giugno 2006 n. 13537), la volontà che lo sorregge (diretta alla persecuzione od all’emarginazione del dipendente), e la conseguente lesione, attuata sul piano professionale o morale o psicologico o fisico.

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Maggio 2016

La notte bianca della legalità

A pochi giorni dalle affermazioni del PM di Caltanissetta sulla strage di Capaci, che fanno inevitabilmente molto discutere, una interessante iniziativa promuove la scoperta del valore della legalità nel paese degli ossimori.

Le porte del tribunale di Roma durante la notte del 7 maggio apriranno i battenti per alunni,  avvocati, magistrati e personaggi dello spettacolo nella seconda edizione della “Notte bianca della legalità”.

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Marzo 2016

Deduzioni e modifica delle domande davanti al Giudice di Pace

Nel procedimento davanti al giudice di pace non è configurabile una distinzione tra udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione, cosicché, dopo la prima udienza, non essendo più possibile proporre nuove domande o eccezioni o allegare a fondamento di esse nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, è preclusa alla parte la facoltà di proporre, per la prima volta, l’eccezione di prescrizione presuntiva. Cassazione civile, sez. III, 04/01/2010, n. 18

Sciogliendo la riserva trattenuta all’udienza del 22 maggio 2013 il gdp osserva quanto segue.

Nel rito del giudice di pace è prevista nella prima udienza (comma 3 dell’art. 320 cpc) la precisazione definitiva dei fatti che ciascuna parte pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, nonché la produzione di documenti e la richiesta di mezzi di prova.

Inoltre, quando sia reso necessario dalle attività svolte dalle parti in prima udienza, il giudice di pace può fissare una udienza per ulteriori produzioni e “prove”.

Sicché “nel processo dinanzi al giudice di pace la costituzione delle parti avviene in cancelleria o in udienza, con la massima libertà di forme; questa libertà di forme fa si che non sia individuabile alcuna preclusione con riferimento agli atti introduttivi; tuttavia, anche il processo che si svolge innanzi al giudice di pace è caratterizzato da preclusioni ricollegate alla prima udienza; a norma, infatti, dell’art. 320 cpc comma 3 nella prima udienza, se la conciliazione non riesce, il giudice di pace invita le parti “a precisare definitivamente i fatti che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, a produrre documenti ed a richiedere i mezzi di prova da assumere”; è nella prima udienza dunque che devono essere effettuate la precisazione dei fatti, la produzione di documenti e le richieste istruttorie; il rinvio ad altra udienza è previsto dal comma 4 dell’art. 320 cpc solamente per “ulteriori produzioni e richieste di prova” ed è concesso “quando sia reso necessario dalle attività svolte dalle parti in prima udienza”; ciò significa che il rinvio è disposto quando per effetto della “precisazione” dei fatti ovvero per la richiesta di prova o per la produzione di documenti avvenuta in prima udienza può essere necessaria la richiesta di prova diretta o contraria o la produzione di documenti” (Trib. Milano 23.06.09 n. 8138 in Giustizia a Milano 2009, 7/8 55 conf. a Cass. 7.4.2000 n. 4376 e Cass. 10.4.08 n. 9350).

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