La capacità di un sistema sanitario nazionale di calcolare con precisione il tasso di malasanità ed in generale il livello medico chirurgico complessivo è attualmente quasi impossibile a causa delle affermazioni false o reticenti che circondano gli accaduti.
Un italiano medio che vive fino ad 85 anni si sottoporrà a circa 7,2 interventi chirurgici durante il corso della propria vita e, secondo le stime del ministero della salute, ogni anno vengono effettuati milioni di interventi chirurgici, di cui migliaia, non portano ad un miglioramento delle condizioni di salute del paziente, a causa di diversi motivi.
Vediamo dunque cosa deve valutare l’avvocato per predisporre una tesi accusatoria (se assiste il paziente) o difensiva (se assiste il medico o l’infermiere) se esamina la richiesta di un potenziale caso di malasanità.
Alcuni esempi sono palesemente ovvi, come un’operazione effettuata in un sito chirurgico diverso da quello da operare, una procedura errata, la somministrazione di farmaci sbagliati, il vaso sanguigno principale o il nervo danneggiato con conseguenti lesioni permanenti o decessi ed ancora i casi di corpi estranei lasciati all’interno del paziente come tamponi o strumenti chirurgici.
Molti casi però non sono così ovvi e vanno effettuate ulteriori indagini relative al processo decisionale del chirurgo e del personale della struttura; devono essere esaminati gli esami pre-operatori effettuati, le immagini, acquisita la documentazione medica clinica e la documentazione relativa alle attrezzature. Il chirurgo avrebbe potuto operare correttamente ma il personale dell’ospedale non è riuscito ad eseguire in sala operatoria?
Vediamo quali sono le domande più importanti su cui concentrarsi.
L’intervento è stato eseguito per una questione di vita o di morte o si trattava di un intervento chirurgico programmato o facoltativo? Questa è una domanda molto importante per due ordini di motivi:
Le terapie eseguite per salvare la vita del paziente a seguito di incidenti gravi, o per i cardiopatici, o nei casi di emorragie o anche nei casi oncologici, hanno già in partenza alte probabilità che il paziente muoia. Detto questo però, non ci sono motivi per il fallimento dell’intervento nella maggior parte dei casi. Il chirurgo in queste situazioni è considerato un aiuto fondamentale e senza la sua abilità il paziente potrebbe comunque morire.
Nei casi di incidenti gravi e di emergenze cardiache o vascolari l’ospedale ha messo in atto tempestivamente le procedure emergenziali? Sono stati somministrati i farmaci adeguati durante il caos dell’urgenza? Ogni membro del personale ospedaliero coinvolto nel percorso clinico del paziente era adeguatamente formato? La struttura può esibire la documentazione di questo percorso formativo? Il paziente ha avuto complicazioni dopo essere sopravvissuto all’intervento? La struttura può produrre le prove della sterilità di ogni strumento utilizzato durante l’intervento chirurgico? La struttura può produrre i numeri di etichettatura dei lotti degli articoli sterili monouso utilizzati durante l’intervento chirurgico? C’erano articoli sterili scaduti che sono stati utilizzati? Il paziente ha avuto una lesione ulteriore oltre a quella per la quale era necessario l’intervento?
È importante analizzare non solo gli iter decisionali relativi ai protocolli di cura, ma anche il tempo che il medico aveva a disposizione nell’emergenza. Si può dimostrare che il ritardo nell’intervento è dovuto a negligenza? Puoi provare che la struttura è a corto di personale e questo causa ritardi nella cura dei pazienti in emergenza? Quando hai telefonato al pronto soccorso l’ambulanza è arrivata in maniera tempestiva? La struttura dispone di attrezzature aggiornate che vengono controllate regolarmente da tecnici certificati?
La reticenza a rispondere a certe affermazioni è spesso indice di negligenza.
Nei casi di interventi chirurgici facoltativi non necessari, che comportano un rischio per la vita, sono state descritte al paziente tutte le opzioni e le modalità conservative prima di raccomandare un intervento chirurgico? Le annotazioni sulla cartella clinica sono state correttamente effettuate? Il paziente ha riportato lesioni durante l’intervento? Ci sono state complicanze peri-operatorie? Queste sono le domande più superficiali a cui rispondere, tuttavia è necessario eseguire un’ulteriore analisi. Quanti interventi ha effettuato quel chirurgo quel giorno? Qual è il numero consentito di interventi chirurgici giornalieri secondo il protocollo di cura? Quanti pazienti visita in media quel medico in una giornata?
Gli interventi chirurgici facoltativi vengono eseguiti in percentuali più alte in ambulatorio? Queste strutture hanno personale adeguatamente formato? Queste strutture sono preparate per le emergenze? Il paziente sta peggio di prima, dopo l’operazione? Il paziente è stato informato di tutte le possibili complicanze prima dell’intervento?
Se è facilmente comprensibile che il medico necessiti di un avvocato per difendersi, invece i pazienti che cercano un avvocato per muovere delle accuse relative a presunta negligenza medica sono in genere delusi dall’assistenza ricevuta ed i motivi possono essere diversi. Avevano aspettative non realistiche sul risultato chirurgico? Hanno pagato per l’intervento chirurgico e ritengono che non ci sia stato alcun beneficio? Hanno riportato danni o una menomazione fisica a seguito dell’intervento?
Interpellare un avvocato e comprendere i motivi che possono essere posti alla base di un’azione legale ti aiuterà a comprendere se la causa è fondata o se le accuse mosse sono gravi o lievi. Esaminare le cartelle cliniche potrebbe non essere sufficiente per riscontrare una negligenza e con la dovuta attenzione si comprende se la strada è percorribile.
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