La Suprema Corte il 9 gennaio ha pronunciato una sentenza che ci riguarda da vicino: la numero 189 del 2017, creando un precedente di grande rilevanza per gli avvocati in merito alla liquidazione delle spese processuali in tutti quei casi in cui lo stesso avvocato si difenda da solo.
In particolare la pronunzia prende le mosse da un’impugnazione di sanzione amministrativa per violazione al codice della strada ove, nello specifico, nonostante il ricorso fosse stato ritenuto fondato ed il legale fosse risultato vittorioso nella propria la causa (poiché non vi era prova che il verbale di contestazione fosse stato notificato al contravventore, verificato che l’opposizione risultava proposta in proprio dal legale opponete/appellante, che l’Ente territoriale opposto non aveva contrastato la pretesa e non risultava neppure che avesse iscritto a ruolo la sanzione estinta), il giudice ravvisava ragioni per dichiarare irripetibili le spese del giudizio.
Il legale dunque risultava vittorioso ed, a ragione, chiedeva che le spese processuali fossero poste a carico del soccombente perché, ricordiamolo, anche per impugnare le sanzioni amministrative per violazione al codice della strada si paga il contributo unificato.
L’avvocato però si vide negare dal giudice tale diritto ed, a ragione, impugnò la sentenza a sé favorevole sulla base del fatto che la pronunzia disattendeva palesemente la normativa di cui all’art. 91 c.p.c. che stabilisce il principio della condanna della parte soccombente al pagamento delle spese e competenze a favore dell’altra parte, con la relativa liquidazione delle stesse in sentenza (posto che, nello specifico, non potevano considerarsi né eccessive né superflue).
A detta degli Ermellini dunque, l’essersi avvalso della facoltà di difesa personale non può avere alcun effetto, visto che questa non incide sulla natura professionale dell’attività svolta in proprio favore, e poiché la condanna alle spese non ha una natura sanzionatoria né costituisce un risarcimento del danno, ma è un’applicazione del principio di causalità (in altre parole, l’onere delle spese grava su chi ha provocato la necessità del processo). Afferma inoltre la Corte, è innegabile che l’avvocato – seppur rappresenti, nella stessa persona, sia la parte processuale che il proprio difensore – sia il soggetto vincitore della causa. Pertanto, non ci sono ragioni per discostarsi dalla regola generale della soccombenza. A tale criterio, sancito dall’art. 91 c.p.c., può derogarsi ex art. 92 c.p.c. quando la parte risultata vincitrice sia venuta meno ai doveri di lealtà e probità, imposti dall’art. 88 c.p.c., oppure per reciproca soccombenza, oppure per gravi ed eccezionali ragioni. In questi casi il Giudice può disporre la irripetibilità delle spese sostenute e/o la compensazione (Cass. 9 gennaio n. 189/2017).