La cosiddetta “lista Falciani” è un documento contenente i nomi di contribuenti – presunti evasori – dei quali 7mila sono italiani. Tale documento era stato sottratto ad opera di un ex dipendente della banca svizzera Hsbc e successivamente reso pubblico.
Numerose controversie erano sorte sulla utilizzabilità di tale lista in accertamenti tributari da parte dell’amministrazione finanziaria italiana nell’ambito del contrasto all’evasione fiscale.
Quello che è emerso è un quadro nel quale sono risultate essere prevalenti le ragioni del fisco.
L’Agenzia delle Entrate infatti si era avvalsa di elementi con valore indiziario, tratti da tale lista e li ha utilizzati ai fini dell’emissione di numerosi e pregnanti avvisi di accertamento.
La Corte di Cassazione con le ordinanze n. 8605 e n. 80606 del 2015 aveva statuito l’utilizzabilità delle stesse in favore del fisco italiano.
In particolare la problematica giuridica verteva sulla provenienza illecita data dal trafugamento dei dati bancari e sulla loro utilizzabilità in sede processuale.
La Suprema Corte italiana ha sancito la netta differenziazione tra processo penale e processo tributario in quanto da una parte l’obbligo di rispettare quelle che sono le disposizioni del codice di procedura penale nell’ambito dei reati tributari si ha laddove, nel corso di attività ispettive, emergano indizi di reato solo ai fini della applicazione della legge penale (Cassazione n.22984, n.22985 e n.22986 del 2010).
Con tale pronuncia la Corte ha riconosciuto che la cosiddetta irritualità, nell’acquisizione di elementi probatori, non sempre comporta nel processo tributario, la loro inutilizzabilità in mancanza di una specifica previsione normativa ad hoc.
In particolare la condotta illecita posta in essere da colui il quale ha trafugato i documenti non risulta neppure essere stata posta in essere in territorio italiano e ciò non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della lista.
Occorre peraltro rilevare che la Cassazione nel 2009 aveva ribadito come la legge n. 413 del 1991 aveva abolito il cosiddetto “segreto bancario” sancendo che dunque ciò che gravita attorno ai servizi bancari è meramente correlato al buon andamento dei traffici commerciali. Esso è un principio recessivo di fronte al dovere inderogabile di contribuzione imposto al contribuente dall’articolo 53 della Costituzione italiana.
La Cassazione ha altresì sottolineato che alla base del segreto bancario non sussisterebbero valori della persona umana suscettibili di tutela ma piuttosto interessi di tipo economico.
A detta degli ermellini non risulterebbe leso neppure l’articolo 24 della Costituzione, perché la lista è stata utilizzata come “mero indizio” nel processo tributario ed il fisco ha corroborato le proprie prove con ulteriori acquisizioni processuali nel rispetto della normativa vigente.
Se ne desume dunque che «sono utilizzabili tutti i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario e l’eventuale reato integrato da questi non assume rilievo nel processo tributario» .