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Maggio 2016

Quali conseguenze ha il mobbing? Come difendersi?

L’attività di mobbing può determinare nella vittima perdita d’autostima, ansia, esaurimento nervoso, depressione, insonnia, nevrosi, isolamento sociale, attacchi di panico e può anche essere causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatite, ed anche di suicidio, nei casi più gravi.

In diversi casi vengono favoriti i conflitti e le inimicizie tra la persona presa di mira e i colleghi, mentre le vengono vietati  contatti con le persone con le quali ha un buon rapporto. Ciò allo scopo di isolare la vittima sul posto di lavoro e/o di allontanarla definitivamente o comunque di impedirle di esercitare un ruolo attivo sul lavoro.

Le azioni di dequalificazione o marginalizzazione professionale danno luogo talvolta ad un “terrore psicologico” sul luogo di lavoro, che consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone, principalmente contro un singolo individuo, che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui costretto a restare con continue attività ostili.

Se poi queste azioni sono effettuate con un’alta frequenza (almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (per almeno sei mesi), il comportamento ostile dà luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali.

Lo scopo principale del mobbing è, normalmente, quello di spingere una persona ritenuta “scomoda” a dare le dimissioni dall’azienda o a commettere azioni che ne giustifichino il licenziamento (c.d. mobbing strategico). A tal fine vengono posti attacchi ai contatti umani: ad es. attraverso critiche e rimproveri ingiustificati, gesti e insinuazioni con significato negativo, minacce, limitazioni delle capacità espressive e della libertà di pensiero. Si può inoltre attuare un isolamento sistematico: ad es. deliberata negazione di informazioni relative al lavoro o manipolazione delle stesse o divieto per i dipendenti di parlare con il lavoratore o, ancora, collocazione del lavoratore in luogo isolato. Si possono ancora ordinare cambiamenti di mansioni: ad es. attribuzione di mansioni dequalificanti, senza senso, umilianti, ecc… Si possono anche effettuare attacchi alla reputazione: ad es. calunnie, offese, abusi, espressioni maliziose, insultanti. Infine il reo può ricorrere a violenza e minacce di violenza: ad es. molestie sessuali, minacce di violenza fisica, adibizione a mansioni nocive per la salute, anche in relazione ad eventuali condizioni di invalidità. Nell’ambito di ciò rientra la volontà di provocare in genere l’allontanamento del lavoratore o anche  l’intento di ostacolare la carriera di un particolare dipendente.

A seguito del mobbing, per giurisprudenza oramai unanime, sono da ritenersi risarcibili i danni patiti dalla vittima sotto il profilo della menomazione all’integrità psico-fisica del lavoratore, del danno alla salute, del danno alla professionalità e del danno esistenziale (con i distinguo delle Sezioni Unite Sent. 26972/08). Tali voci di danno devono essere considerate tutte risarcibili.

L’esercizio della prevaricazione dei confini del rispetto verso il prossimo gode della complicità di una sottocultura che vede nell’articolazione gerarchica un modello di comportamento di riferimento per le relazioni tra dipendenti ed i responsabili sovraordinati. I rapporti di lavoro dovrebbero essere improntati sulla correttezza professionale e il rispetto del ruolo del lavoratore a prescindere dal posto che nell’organigramma si rivesta.

Il mobbing non è la regola da accettare passivamente, ma un abuso da combattere. Chiedi un consulto per tutelarti.

 

Mobbing, definizione data ex art. 2087 c.c. (Cass. n, 22393/2012)
Per “mobbing” si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Tipi di mobbing e chi ne è vittima

Tra le possibili tipologie troviamo “gli ultimi arrivati”, colpevoli di aver rotto i precedenti equilibri, le persone originali, con inclinazioni e interessi diversi dallo standard del gruppo, i lavoratori che non si piegano a regole clientelari, o che risultano semplicemente “di troppo” in seguito ad operazioni di riorganizzazione aziendale. Le azioni riconducibili ad un processo di “mobbing” possono comprendere diverse strategie: da quelle più grossolane come l’emarginazione, la critica immotivata e l’assegnazione di compiti dequalificanti, a quelle più sofisticate e persino paradossali come la promozione ad incarichi superiori alle proprie competenze con l’intento di creare i presupposti per il licenziamento.

 

Conseguenze legali

Pertanto il mobbing potrà sfociare in reati quali ingiuria (offesa all’onore e al decoro) o di diffamazione (offesa della reputazione pubblica) previsti dal codice penale e sanzionati come delitti contro l’onore. Ma anche in reati di lesione a seconda degli effetti che tali azioni hanno sull’individuo che le subisce: gli abusi lavorativi vengono di fatto equiparati a lesioni personali colpose. Possono giungere addirittura ad integrare ipotesi di omicidio colposo (art.589 c.p.) quando il datore di lavoro determini o rafforzi per colpa nel lavoratore mobbizzato, con la sua condotta reiteratamente vessatoria e/o ingiustificatamente discriminatoria e di emarginazione, una propensione suicidiaria, o reati di molestia.

 

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