La Cassazione si è recentemente pronunziata in merito all’imposizione ad opera dei giudici, di terapie familiari “per il bene dell’intero nucleo”.
Alcune coppie vivono infatti la separazione con forti sentimenti di colpevolizzazione verso l’altro coniuge, altre si separano in seguito a conflitti che contengono elevata aggressività e che sfociano in aspri contrasti verbali o fisici.
Proprio in queste situazioni di particolare conflittualità, laddove vi siano dei minori, il giudice ha il dovere di adottare tutti gli strumenti idonei a salvaguardare l’equilibrio psicofisico di questi ultimi, adottando le misure che meglio si attaglino alla situazione concreta. Per farlo dovrà servirsi dei criteri di ragionevolezza e di idoneità e delle loro declinazioni.
La scelta di avallare tali imposizioni ad opera dei giudici risiede, come statuito dalla Suprema Corte, nella preminente esigenza dei minori di avere un ambiente che garantisca loro serenità e sviluppo psicofisico adeguati. A tal fine strumentale sarà soprattutto garantire ai figli la bigenitorialità facendoli godere dell’affido condiviso e dei benefici in esso riscontrati.
Alcuni nuclei familiari, nella loro interezza, seguiranno – a cagione dell’imposizione di un giudice – un percorso terapeutico mirato volto ad attenuare le conflittualità ed ad eliminare le esternazioni aggressive in grado di screditare l’altro, che spesso hanno luogo – cosa ancor più grave – in presenza dei figli.
Comportamenti di questo genere hanno una forte potenzialità lesiva della dignità e della personalità dei membri del nucleo familiare e sono in grado di cagionare un malessere psicofisico che può perdurare nel tempo.
A queste pregnanti problematiche la Cassazione ha volto il proprio sguardo e con la Sentenza n. 25777 del 2015 è tornata a pronunciarsi sulla questione. I giudici della Suprema Corte, contravvenendo ad un precedente orientamento, hanno affermato che provvedimenti di questa tipologia ( che impongono terapie psicologiche all’intero nucleo familiare ) non possono essere intesi come una limitazione della libertà personale dei membri della famiglia.
Nella medesima sentenza, gli ermellini hanno inoltre sottolineato che misure similari a quella in argomento sono indubbiamente applicabili come strumenti rientranti nella discrezionalità dei giudici in quanto misure idonee a salvaguardare quelli che sono i soggetti più deboli, quali i minori o un coniuge, caratterizzati da fragilità.